Per velocizzare le comunicazioni. Per farci conoscere e per conoscere. Per entrare in rete. Per uno scambio di esperienze e materiali. Per poter chiedere aiuto... e per ringraziare. Ma soprattutto per crescere nella comunione e nell'amicizia tra di noi. Se ci vuoi aiutare nella ricostruzione della nostra chiesa usa il ns. c/c bancario n. 183576 iban: IT12V0538703612000000183576 presso BANCA POPOLARE DELL'EMILIA ROMAGNA ag. di città n.10
La nostra basilica.
giovedì 30 maggio 2013
Alcuni dicono che il peccato è un’offesa a Dio, ma anche un’opportunità di umiliazione per accorgersi che c’è un’altra cosa più bella: la misericordia di Dio.
Piazza San Pietro
Mercoledì, 29 maggio 2013
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Mercoledì scorso ho sottolineato il legame profondo tra lo Spirito Santo e la Chiesa. Oggi vorrei iniziare alcune catechesi sul mistero della Chiesa, mistero che tutti noi viviamo e di cui siamo parte. Lo vorrei fare con espressioni ben presenti nei testi del Concilio Ecumenico Vaticano II.
Oggi la prima: la Chiesa come famiglia di Dio.
In questi mesi, più di una volta ho fatto riferimento alla parabola del figlio prodigo, o meglio del padre misericordioso (cfr Lc 15,11-32). Il figlio minore lascia la casa del padre, sperpera tutto e decide di tornare perché si rende conto di avere sbagliato, ma non si ritiene più degno di essere figlio e pensa di poter essere riaccolto come servo. Il padre invece gli corre incontro, lo abbraccia, gli restituisce la dignità di figlio e fa festa. Questa parabola, come altre nel Vangelo, indica bene il disegno di Dio sull’umanità.
Qual è questo progetto di Dio? E’ fare di tutti noi un’unica famiglia dei suoi figli, in cui ciascuno lo senta vicino e si senta amato da Lui, come nella parabola evangelica, senta il calore di essere famiglia di Dio. In questo grande disegno trova la sua radice la Chiesa, che non è un’organizzazione nata da un accordo di alcune persone, ma - come ci ha ricordato tante volte il Papa Benedetto XVI - è opera di Dio, nasce proprio da questo disegno di amore che si realizza progressivamente nella storia. La Chiesa nasce dal desiderio di Dio di chiamare tutti gli uomini alla comunione con Lui, alla sua amicizia, anzi a partecipare come suoi figli della sua stessa vita divina. La stessa parola “Chiesa”, dal greco ekklesia, significa “convocazione”: Dio ci convoca, ci spinge ad uscire dall’individualismo, dalla tendenza a chiudersi in se stessi e ci chiama a far parte della sua famiglia. E questa chiamata ha la sua origine nella stessa creazione. Dio ci ha creati perché viviamo in una relazione di profonda amicizia con Lui, e anche quando il peccato ha rotto questa relazione con Lui, con gli altri e con il creato, Dio non ci ha abbandonati. Tutta la storia della salvezza è la storia di Dio che cerca l’uomo, gli offre il suo amore, lo accoglie. Ha chiamato Abramo ad essere padre di una moltitudine, ha scelto il popolo di Israele per stringere un’alleanza che abbracci tutte le genti, e ha inviato, nella pienezza dei tempi, il suo Figlio perché il suo disegno di amore e di salvezza si realizzi in una nuova ed eterna alleanza con l’umanità intera. Quando leggiamo i Vangeli, vediamo che Gesù raduna intorno a sé una piccola comunità che accoglie la sua parola, lo segue, condivide il suo cammino, diventa la sua famiglia, e con questa comunità Egli prepara e costruisce la sua Chiesa.
Da dove nasce allora la Chiesa? Nasce dal gesto supremo di amore della Croce, dal costato aperto di Gesù da cui escono sangue ed acqua, simbolo dei Sacramenti dell’Eucaristia e del Battesimo. Nella famiglia di Dio, nella Chiesa, la linfa vitale è l’amore di Dio che si concretizza nell’amare Lui e gli altri, tutti, senza distinzioni e misura. La Chiesa è famiglia in cui si ama e si è amati.
Quando si manifesta la Chiesa? L’abbiamo celebrato due domeniche fa; si manifesta quando il dono dello Spirito Santo riempie il cuore degli Apostoli e li spinge ad uscire e iniziare il cammino per annunciare il Vangelo, diffondere l’amore di Dio.
Ancora oggi qualcuno dice: “Cristo sì, la Chiesa no”. Come quelli che dicono “io credo in Dio ma non nei preti”. Ma è proprio la Chiesa che ci porta Cristo e che ci porta a Dio; la Chiesa è la grande famiglia dei figli di Dio. Certo ha anche aspetti umani; in coloro che la compongono, Pastori e fedeli, ci sono difetti, imperfezioni, peccati, anche il Papa li ha e ne ha tanti, ma il bello è che quando noi ci accorgiamo di essere peccatori, troviamo la misericordia di Dio, il quale sempre perdona. Non dimenticatelo: Dio sempre perdona e ci riceve nel suo amore di perdono e di misericordia. Alcuni dicono che il peccato è un’offesa a Dio, ma anche un’opportunità di umiliazione per accorgersi che c’è un’altra cosa più bella: la misericordia di Dio. Pensiamo a questo.
Domandiamoci oggi: quanto amo io la Chiesa? Prego per lei? Mi sento parte della famiglia della Chiesa? Che cosa faccio perché sia una comunità in cui ognuno si senta accolto e compreso, senta la misericordia e l’amore di Dio che rinnova la vita? La fede è un dono e un atto che ci riguarda personalmente, ma Dio ci chiama a vivere insieme la nostra fede, come famiglia, come Chiesa.
Chiediamo al Signore, in modo del tutto particolare in quest’Anno della fede, che le nostre comunità, tutta la Chiesa, siano sempre più vere famiglie che vivono e portano il calore di Dio.
lunedì 27 maggio 2013
Io sto con questa teologia...
Povero Giuseppe! Viveva allo sbando, come un cane randagio. Aveva 36 anni e metà dell’esistenza l’aveva consumata nel carcere. La mala sorte un po’ se l’era voluta da solo, per quella dissennata anarchia che gli covava nell’anima e lo rendeva irriducibile ai nostri canoni di persone perbene. Ma una buona porzione di sventura gliela procuravano a rate tutti quanti. A partire da me che, avendolo accolto in casa, gli facevo pagare l’ospitalità con le mie prediche... per finire ai giovanotti del bar vicino alla stazione che gli pagavano la bottiglia di whisky per godersi lo spettacolo di vederlo ubriaco...
Quell’anno, alla fine di aprile, il Santuario di Molfetta, dedicato alla Madonna dei Martiri, con speciale bolla pontificia veniva solennemente elevato alla dignità di Basilica Minore.
La città era in festa, e per il singolare avvenimento giunse da Roma un Cardinale il quale, nella notte precedente la proclamazione, volle presiedere lui stesso una veglia di preghiera che si tenne nel Santuario. Poi, prima di andare a dormire tutti, diede la parola a chi avesse voluto chiedere qualcosa.
Fu allora che si alzò un giovane e, rivolgendosi proprio a me, mi chiese a bruciapelo il significato di Basilica Minore.
Gli risposi dicendo che “basilica” è una parola che deriva dal greco e significa “casa del re”, e conclusi con enfasi che il nostro santuario di Molfetta stava per essere riconosciuto ufficialmente come dimora del Signore del cielo e della terra. Il giovane, il quale tra l’altro disse che aveva studiato il greco, replicò affermando che tutte queste cose le sapeva già, e che il significato di basilica come casa del re era per lui scontatissimo. E insistette testardamente: «Lo so cosa vuol dire Basilica. Ma perché Basilica Minore?».
Dovetti mostrare nel volto un certo imbarazzo. Non avevo, infatti, le idee molto chiare in proposito. Solo più tardi mi sarei fatta una cultura e avrei capito che Basiliche Maggiori sono quelle di Roma, e Basiliche Minori sono tutte le altre. Ma una risposta qualsiasi bisognava pur darla, e io non ero tanto umile da dichiarare lì, su due piedi, davanti a un’assemblea che mi interpellava, e davanti al Cardinale che si era accorto del mio disagio, la mia scandalosa ignoranza sull’argomento.
Mi venne però un lampo improvviso. Mi avvicinai alla parete del tempio e battendovi contro, con la mano, dissi: «Vedi, Basilica Minore è quella fatta di pietre. Basilica Maggiore è quella fatta di carne. L’uomo, insomma. Basilica Maggiore sono io, sei tu! Basilica Maggiore è questo bambino, è questa vecchietta, è il Signor Cardinale. Casa del Re!».
Il Cardinale annuiva benevolmente col capo Forse mi assolveva per quel guizzo di genio.
La veglia finì che era passata mezzanotte. Fui l’ultimo a lasciare il Santuario. Me ne tornavo a piedi verso casa, quando una macchina mi raggiunse e alcuni giovani mi offrirono un passaggio. Lungo la strada commentavamo insieme la serata, mentre il tergicristallo cadenzava i nostri discorsi.
Ma ecco che, giunti davanti al portone dell’episcopio, si presentò allo sguardo una scena imprevista. Disteso a terra a dormire, infracidito dalla pioggia e con una bottiglia vuota tra le mani, c’era lui, Giuseppe. Sotto gli abbaglianti della macchina, aveva un non so che di selvaggio, la barba pareva più ispida, e le pupille si erano rapprese nel bianco degli occhi. Ci fermammo muti a contemplarlo con tristezza, finché la ragazza che era in macchina dietro di me, mormorò, quasi sottovoce: «Vescovo, Basilica Maggiore o Basilica Minore?». «Basilica Maggiore» risposi. E lo portammo di peso a dormire.
Quell’anno, alla fine di aprile, il Santuario di Molfetta, dedicato alla Madonna dei Martiri, con speciale bolla pontificia veniva solennemente elevato alla dignità di Basilica Minore.
La città era in festa, e per il singolare avvenimento giunse da Roma un Cardinale il quale, nella notte precedente la proclamazione, volle presiedere lui stesso una veglia di preghiera che si tenne nel Santuario. Poi, prima di andare a dormire tutti, diede la parola a chi avesse voluto chiedere qualcosa.
Fu allora che si alzò un giovane e, rivolgendosi proprio a me, mi chiese a bruciapelo il significato di Basilica Minore.
Gli risposi dicendo che “basilica” è una parola che deriva dal greco e significa “casa del re”, e conclusi con enfasi che il nostro santuario di Molfetta stava per essere riconosciuto ufficialmente come dimora del Signore del cielo e della terra. Il giovane, il quale tra l’altro disse che aveva studiato il greco, replicò affermando che tutte queste cose le sapeva già, e che il significato di basilica come casa del re era per lui scontatissimo. E insistette testardamente: «Lo so cosa vuol dire Basilica. Ma perché Basilica Minore?».
Dovetti mostrare nel volto un certo imbarazzo. Non avevo, infatti, le idee molto chiare in proposito. Solo più tardi mi sarei fatta una cultura e avrei capito che Basiliche Maggiori sono quelle di Roma, e Basiliche Minori sono tutte le altre. Ma una risposta qualsiasi bisognava pur darla, e io non ero tanto umile da dichiarare lì, su due piedi, davanti a un’assemblea che mi interpellava, e davanti al Cardinale che si era accorto del mio disagio, la mia scandalosa ignoranza sull’argomento.
Mi venne però un lampo improvviso. Mi avvicinai alla parete del tempio e battendovi contro, con la mano, dissi: «Vedi, Basilica Minore è quella fatta di pietre. Basilica Maggiore è quella fatta di carne. L’uomo, insomma. Basilica Maggiore sono io, sei tu! Basilica Maggiore è questo bambino, è questa vecchietta, è il Signor Cardinale. Casa del Re!».
Il Cardinale annuiva benevolmente col capo Forse mi assolveva per quel guizzo di genio.
La veglia finì che era passata mezzanotte. Fui l’ultimo a lasciare il Santuario. Me ne tornavo a piedi verso casa, quando una macchina mi raggiunse e alcuni giovani mi offrirono un passaggio. Lungo la strada commentavamo insieme la serata, mentre il tergicristallo cadenzava i nostri discorsi.
Ma ecco che, giunti davanti al portone dell’episcopio, si presentò allo sguardo una scena imprevista. Disteso a terra a dormire, infracidito dalla pioggia e con una bottiglia vuota tra le mani, c’era lui, Giuseppe. Sotto gli abbaglianti della macchina, aveva un non so che di selvaggio, la barba pareva più ispida, e le pupille si erano rapprese nel bianco degli occhi. Ci fermammo muti a contemplarlo con tristezza, finché la ragazza che era in macchina dietro di me, mormorò, quasi sottovoce: «Vescovo, Basilica Maggiore o Basilica Minore?». «Basilica Maggiore» risposi. E lo portammo di peso a dormire.
don Tonino Bello
sabato 25 maggio 2013
Che bella chiesa.
Che bella chiesa quella che sta emergendo in questi giorni.
Palermo riconosce in don Pino Puglisi un innamorato di Gesù Cristo e di ogni uomo. Manifesta così la nostalgia di una città diversa, dove si vive l'attenzione verso l'uomo, la passione educativa, la speranza di rapporti diversi, più umani.
Genova si stringe ad un prete che ha osato andare "verso le periferie dell'esistenza". Quelle periferie oggi hanno invaso il centro, il Duomo. Quelle periferie hanno sostituito noiosi canti religiosi con un'appassionata "Bella ciao".
Come è bella questa chiesa che, nonostante l'aria asfittica, antica, consumata che spesso, ancora, si respira è abitata dalla fantasia destabilizzante di Dio.
lunedì 13 maggio 2013
Iscriviti a:
Post (Atom)